La nascita di un mito: La Vespa!
(copyright Vespa Club d'Italia)

Nel 1945 conclusa la guerra Enrico Piaggio, si trova di fronte alla pesante eredità di un grande complesso industriale da ricostruire. Difatti, a Pontedera, nello stabilimento Toscano, la produzione era cessata prima della fine del conflitto. Le truppe tedesche, in ritirata, avevano trasportato macchinari, attrezzature e centro studi che vennero trasferiti a Biella distruggendo quello che rimase della fabbrica e degli impianti di Pontedera.



Lo stabilimento di Pontedera è stato ricostruito: Si edifica la nuova direzione.
Nacque qui l'intuizione di Enrico Piaggio nell'analizzare quello che non era buon momento per l'economia nazionale, il Paese mancava di tutto, mentre gli ex militari tornati dal fronte, dalla prigionia, dalla guerra di liberazione; ricomposte le famiglie, chiedevano il lavoro alle fabbriche. Un paese che mancava anche delle strade e quindi di comunicazioni, la disorganizzazione delle linee ferroviarie, l'enorme carenza di mezzi di trasporto e tutti gli altri mezzi di locomozione, il bisogno di riallacciare comunicazioni e quindi riprendere i contatti per la ripresa del lavoro, del commercio, dello scambio, mettevano in condizioni un gran numero di persone di poter disporre di un veicolo che fosse utilitario, fosse di pratico impiego, e avesse un costo limitato di esercizio e di minimo consumo.
Avvenuta la liberazione del nord, i tecnici e gli ingegneri di primo ordine della Società, Piaggio, la grande fabbrica aeronautica che costruiva i motori d'aereo, detentori di record d'altezza ed i famosi quadrimotori da bombardamento, armamenti con brevetti che avevano portato la Piaggio al primo posto, raggiunsero il Centro Studi. Fra questi un tecnico di gran valore, fra l'altro progettista dell'elica a passo variabile, l'ing. Corradino D'Ascanio fu subito incaricato dal dott. Piaggio, d'iniziare lo studio quindi il progetto di un veicolo a due ruote, che corrispondesse alle esigenze dell'epoca.
Il D'Ascanio, con quella genialità d'inventore, che oggi a diversi anni dalla sua morte noi gli riconosciamo, quale Pioniere dell'Aeronautica ed inventore geniale nacque in Abruzzo nel 1891 e morto a Pisa nel 1981, era entrato nella Piaggio nel 1934, dopo una grossissima esperienza di progettazione anche in America dopo aver conseguito la laurea di Ingegneria presso il Politecnico di Torino nel 1914. Durante la I Guerra Mondiale l'ufficiale del Battaglione Aviatori a Torino si occupa della manutenzione e sorveglianza del materiale di squadriglia. In questo periodo installa la prima radio trasmittente su un veivolo italiano, viene poi invitato in Francia per la scelta di un motore d'aviazione da riprodursi in Italia. Assunto dalla Pomilio Brothers si trasferisce negli Stati Uniti per progettare a costruire veicoli militari, ad Indianapolis costruisce tre apparecchi da bombardamento, da ricognizione, da caccia felicemente collaudati a Dayton - OHIO.
Nel 1926 abbozza il primo progetto di elicottero a Pescara, presso le officine Camplone. Il terzo prototipo del D.A.T.3 (D'Ascanio-Trojani) conquista nell'ottobre del 1930 i primati regolarmente omologati nella classe G della Federazione Aereonautica Internazionale di altezza (m.18) durata 8 primi e 45 secondi e distanza (m.1078, 60). Nel 1932, dopo essersi diviso da socio Barone Pietro Trojani, finanziatore degli elicotteri D.A.T.1 - D.A.T.2 -D.A.T.3, inizia la collaborazione con la Piaggio e per essa progetta un'elica a passo variabile in volo, successivamente installata sui veicoli italiani.



La prova decisiva del PD4, che rimase un'opera incompiuta.
Abbiamo voluto fare un profilo di quello che era D'Ascanio come progettista e pure buon conoscitore d'aerei. Conosceva la motocicletta nella sua rappresentazione sportiva velocistica e non aveva mai approfondito il problema motociclistico dal punto di vista di progettazione e costruzione. Aveva comunque osservato la motocicletta e la costruzione con i difetti che l'avevano tenuta ai margini della massa, che in quel momento desideravano un veicolo di quel genere, ma con particolari doti e veramente utilitario. Quindi staccato da una tecnica motociclistica tradizionale poté considerare il problema da un'angolazione nuova, concepire quindi un mezzo nuovo seguendo i criteri personali, pensando ad una macchina che potesse essere adatta ad una persona che non era mai andata in motocicletta. Una memoria di D'Ascanio ricordava spesso che viaggiando in auto aveva visto i motociclisti fermi ai margini della strada alle prese con camere d'aria bucate.
Ecco quindi la possibilità di poter dotare il nuovo mezzo con una ruota di scorta come l'automobile, così da non costituire problemi. Allo stesso modo per quanto riguarda il problema di fare un mezzo con un accesso agevole e che abbia una razionale e confortevole posizione, seduta e comoda. La creazione di un mezzo di facile movibilità, con un'intuizione di quello che doveva diventare in futuro il traffico della città.



L'idea di una "vettura" a due ruote
Quindi la praticità di poter guidare questo mezzo senza togliere le mani dal manubrio, da questo il comando del cambio a manopola. Fino allora i motociclisti pensavano di doversi imbrattare i vestiti ed invece con il motore distante, carenato e coperto si ovviava a questo problema. Il motore costituisce un complesso unico, compatto, quindi trasmissione senza catena, cambio semplice e linea compreso nel gruppo ruota-motore. La soluzione di concezione aereonautica della forcella anteriore monotubo che sostituiva la tradizionale forcella motociclistica e consentiva una sostituzione rapida della ruota. Un telaio, già di moderna concezione, come quello classico in tubi della moto, e questo senza pregiudicare la robustezza del mezzo e, nello stesso tempo la sua leggerezza.
Questo a cavallo tra il '45 e il '46 con queste intuizioni, anche se con difficoltà di costruzione, un'impostazione tutta nuova antitradizionale con il problema di entrare in produzione in quei periodi. Con il progetto, ed il primo prototipo del mezzo (ricordiamo per cronaca che il D'Ascanio aveva trovato al suo arrivo a Biella un prototipo derivato da alcuni esemplari utilizzati nel periodo bellico di cui non tenne conto) era nato un mezzo completamente inedito. Così nell'aprile 1946 dopo il sì al prototipo da parte del dott. Enrico Piaggio, che aveva intuito con estrema lungimiranza le doti di quel mezzo, le prime vespa uscivano dagli stabilimenti di Pontedera che ritornavano quindi a produrre. Dimenticavano una cosa: il nome «VESPA». Questo nome forse fu dato prendendo spunto dalla conformazione del veicolo, da suo ronzio particolare, da come era composta, un nome che ha portato a questo scooter, uteriore rappresentanza dell'immagine italiana.



L'Ingegner Corradino D'Ascanio (Popoli 1891 - Pisa 1981) progettista della Vespa, al tavolo di lavoro.
La Vespa nasceva con una cilindrata di 98 cc., due tempi, tre marce, accensione a volano magnete, potenza max 3,2 cavalli a 4500 giri che consentivano la velocità massima di 60 km. orari, il superamento di pendenze del 20% in prima, 12% in seconda e 5% in terza. Carburatore dell'Orto diametro 16/17 mm.; il peso a vuoto 60 kg., lunghezza metri 1,65, passo 1,17, pneumatici 4.00.8.
La Vespa primo tipo era sprovvista di cavalletto, si appoggiava lateralmente sulla pedana sprovvista a questo scopo di due zoccoletti in lega leggera, il serbatoio conteneva 5 litri che gli garantivano un consumo di oltre 40 km. con un litro di miscela, al 5%. L'idea dello scooter non era nuova, ma questo veicolo era talmente esclusivo, perfetto da distinguersi nettamente con ogni precedente realizzazione in fatto di scooter. Quindi la Vespa cominciava a piacere anche se in quel periodo diversi costruttori si cimentavano, per la ragioni prima esposte che nel periodo della ricostruzione era quello di dover affrontare le possibilità di movimento. Dobbiamo considerare che però la Vespa superò brillantemente molti di questi problemi e che il successo commerciale era anche dovuto alla intelligenza iniziativa della Piaggio che aveva potuto organizzare una capillare assistenza su tutto il territorio nazionale, corsi per meccanici vespisti presso il suo stabilimento, creando anche una catena di rivenditori con magazzino di pezzi di ricambio.
Quindi con 68.000 lire e, il costo della Vespa, si poteva cominciare a muoversi in città nelle strade non asfaltate di allora, nelle campagne, sui monti, nei posti di mare; la Vespa era utilizzata in qualsiasi modo, in qualsiasi condizione di esercizio. Questo primo modello rimase poi in produzione fino a tutto l'anno 1947, anno fino al quale è stata in produzione la Vespa 98 che prendeva il nome dalla cilindrata stessa.
Sempre la Vespa del 1948, con cilindrata 125 cc., una cilindrata che attraverso l'aggiornamento tecnologico, la Vespa si porterà fino ai giorni nostri. Dotata di sospensioni sia anteriori che posteriori, venne adottato il cavalletto, mutò leggermente, l'estetica, il parafango anteriore che era anche sede del faro e piccole modifiche alla carrozzeria collegate anche a diverse migliorie tecniche.



Un deposito dello stabilimento Piaggio di Pontedera.
Quindi ecco l'affermarsi della Vespa come mezzo per fare del turismo, nell'indicarci delle mète di viaggio, appartenere ad un gruppo. Difatti il mezzo fu utilizzato in quegli anni proprio nel turismo e nello sport. Nel turismo per giungere a delle mète, che oggi con le strade di allora sembravano inverosimili e nello sport, nell'adottare quel mezzo alle competizioni inizialmente semplici, ma poi sempre più impegnative per poter gareggiare nelle gare di velocità, a quelle di Regolarità, ai Raid, ai Rally. Quindi un movimento che si cominciava ad ingrossare intorno a questo mezzo, che ispirava simpatia e con il quale si andava bene, sia da soli che in gruppo, per raggiungere nuove mète. Furono creati dei modelli Vespa speciali, come la «6 Giorni» in quegli anni per partecipare alle competizioni, l'impegno nei Record con la Vespa da Record del chilometro lanciato sulla Pista di Montlhéry ed un altro grande prestigioso record a oltre 171 km. orari realizzato da Dino Mazzoncini sulla Roma-Ostia nel 1951.



A sinistra Vespa 125 con sidecar anno 1952; a destra DINO MAZZONCINI sulla Vespa Siluro.
I progettisti con a capo D'Ascanio ed uno staff di ingegneri e tecnici aveva lavorato su questo scooter per portarlo a traguardi veramente particolari. Questa continua serie di esperienze e studi si sarebbero poi visti anche negli anni successivi con l'applicazione di tecnologie migliori. L'aumento della cilindrata a 150, per arrivare al modello 150 Gran Sport, che rappresenta ancora oggi un bell'esemplare di scooter sportivo. È visibile quindi il trasferimento nella produzione di serie di tutte quelle esperienze tecniche provenienti dallo sport. In quegli anni la motorizzazione su due ruote era prevalentemente su Vespa ed essere un utente vespista era qualcosa in più, ieri come oggi. A conferma di questo inimitabile mezzo, ricordiamo che la Vespa è stata prodotta in molti milioni di esemplari ed esportata in quasi tutte le parti del globo.

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